Stephen Jay Gould, Mi sa che andrà a finir male!
Henry Walter Bates sbarcò a Parà (oggi Belém), in Brasile, nei pressi della foce del Rio delle Amazzoni, nel 1848. Vi arrivò assieme ad Alfred Russeil Wallace, che aveva suggerito di fare un viaggio nelle foreste tropicali, sostenendo che uno studio diretto della natura là dove essa presenta la maggiore ricchezza poteva fornire chiarimenti sul problema dell’origine delle specie e anche fornire molti begli esemplari da vendere. Wallace tornò in Inghilterra nel 1852, mentre Bates rimase in Brasile per undici anni, collezionando circa 8000 nuove specie (per lo più insetti) ed esplorando l’intero bacino amazzonico.
Nel 1863 Bates pubblicò la sua opera classica in due volumi, forse la massima opera di storia naturale e viaggi dell’Ottocento, The Naturalist on the River Amazons. Ma due anni prima Bates aveva occultato la sua scoperta più emozionante in un articolo tecnico dal titolo disarmantemente pedestre: Contribution to a insect fauna of the Amazon Valley, pubblicato nelle “Transactions of the Linnean Society”. Il recensore dell’articolo di Bates (“Natural History Reviews”, 1863, pp. 219-224) lodò la percezione di Bates ma deplorò la cattiva scelta del titolo: “A causa del titolo troppo modesto e un po’ indefinito,” scrisse, “temiamo che [l’opera di Bates] possa sfuggire all’attenzione nel flusso ininterrotto della letteratura scientifica”. Il recensore tentò perciò di salvare Bates dalla sua modestia facendo un po’ di pubblicità alla sua scoperta. Per fortuna aveva abbastanza energia da dare un buon avvio a Bates. Il recensore era Charles Darwin, che nell’ultima edizione dell’Origine delle specie aggiunse una sezione sull’intuizione di Bates.
Bates aveva scoperto e spiegato correttamente lo stile principale di mimetismo protettivo negli animali. Nel cosiddetto mimetismo batesiano (giacché il fenomeno ha assunto ora il suo nome), animali poco comuni e intrinsecamente appetibili (gli imitatori) si procurano una protezione sviluppando spiccate somiglianze con animali abbondanti e di cattivo sapore (i modelli), che i predatori imparano a evitare. La farfalla viceré (Limenitis archippus) imita perfettamente la monarca, la quale, nello stadio di bruco, estrae dai cibi vegetali di cui si nutre una quantità di sostanze velenose sufficienti a dare letteralmente il voltastomaco a qualsiasi uccello non abbastanza accorto da evitarla. (Gli uccelli che vomitano sono diventati un cliché nei documentari di storia naturale. L’esperienza insegna: chi è stato scottato una volta, non ci riprova la seconda. Questa storia è stata forse raccontata anche troppe volte, ma non tutti gli esperti si rendono conto che il nome della farfalla viceré ricorda il suo mimetismo, giacché questa farfalla è il surrogato, o viceré, del sovrano, o monarca, stesso.)
Darwin fu deliziato dalla scoperta di Bates perché considerava il mimetismo una bella dimostrazione dell’evoluzione in azione. Il creazionismo, sostenne Darwin con argomentazione stringente, non può essere confutato direttamente perché pretende di spiegare tutto. Il creazionismo non è verificabile ed è quindi inutile per la scienza. Gli evoluzionisti devono procedere mostrando che qualsiasi spiegazione creazionistica diventa una reductio ad absurdum in conseguenza delle argomentazioni illogiche e ad hoc richieste per preservare l’idea della volontà inalterabile di Dio di fronte all’evidenza del mutamento storico.
Nella recensione dell’articolo di Bates, Darwin sottolinea che i creazionisti devono spiegare la precisione della duplicazione di forme e colori che si riscontra nel mimetismo come un semplice atto di costruzione divina: “Essi furono formati così già dal momento della loro creazione”, scrive. Una tale asserzione, sostiene Darwin, non è solo sbagliata ma ostacola la scienza, non fornendo alcun test possibile per la verità o falsità: è un argomento “che ha la conseguenza di rendere impossibile ogni ulteriore ricerca”. Darwin presenta poi la sua reductio ad absurdum, mostrando che qualsiasi persona equilibrata deve considerare il mimetismo un prodotto del mutamento storico.
I creazionisti avevano introdotto una distinzione centrale fra vere specie, o entità create da Dio, e mere varietà, conseguenti a piccoli mutamenti permessi all’interno di un tipo creato (per esempio le varie razze di cani o le diverse varietà di frumento). Bates aveva però mostrato che alcuni imitatori sono vere specie, mentre altri sono solo varietà di specie che, nelle regioni non abitate dal modello, sono prive dei caratteri mimetici. Dio poteva aver creato direttamente alcuni imitatori dalla polvere della terra, consentendo invece ad altri (le varietà di specie che non presentano il mimetismo in altre regioni) di raggiungere la loro precisione per mezzo della selezione naturale limitata all’interno dei confini di un tipo creato? Non era forse più ragionevole proporre che le specie dotate di caratteri mimetici avessero avuto inizio come varietà, evolvendosi infine sino a diventare entità separate? Cosa ancora peggiore per i creazionisti: Bates aveva mostrato che alcune specie imitano modelli che sono soltanto varietà: Dio avrebbe creato dal nulla una specie dotata di forme e colori mimetici per farla assomigliare a un’altra forma che raggiunse il suo stato attuale in conseguenza di un’evoluzione strettamente limitata? Dio può operare in modi strani per compiere i suoi miracoli, ma metterebbe davvero a così dura prova la nostra fede? La spiegazione storica aveva molto più senso.
Ma se il mimetismo divenne una fonte di piacere per Darwin, presentava anche un grave problema. Noi possiamo comprendere facilmente la necessità di una spiegazione storica. Possiamo capire come funziona il sistema una volta che tutti i suoi elementi si sviluppano, ma perché prende il via all’inizio questo processo di imitazione? Che cosa lo fa cominciare, e che cosa lo mantiene poi in movimento? Perché, nelle parole di Darwin, “con grande perplessità dei naturalisti, la natura ha accondisceso a questi trucchi teatrali?” Più specificamente: ogni farfalla che ne imita un’altra, nelle ricche faune del bacino amazzonico, condivide il suo spazio con molti modelli potenziali. Perché una farfalla sceglie un particolare modello? Noi possiamo capire come la selezione naturale possa perfezionare una somiglianza già ben stabilita, mentre più difficile è comprendere che cosa dia inizio al processo lungo una di molte vie potenziali, tanto più che non riusciamo a immaginare quale vantaggio possa fornire all’imitatore un 1 o 2 per cento di somiglianza a un modello. Questo vecchio dilemma nella teoria dell’evoluzione ha addirittura ricevuto un nome nella terminologia tecnica della mia professione: è il problema degli “stadi incipienti di strutture utili”. Darwin trovò [comunque] una buona soluzione per il mimetismo [...] come soluzione generale al vecchio problema degli stadi incipienti. il mimetismo funziona splendidamente nella sua forma compiuta, ma che cosa dà inizio al processo lungo una via potenziale fra molte? Darwin sostenne che una farfalla che si mimetizza deve prendere l’avvio da una somiglianza lieve e fortuita al suo modello. In assenza di questo punto di partenza iniziale, il processo del miglioramento verso la perfezione del mimetismo non può neppure avere inizio. Ma una volta che una somiglianza iniziale accidentale abbia fornito un piccolo punto d’appoggio, la selezione naturale può migliorare gradualmente la corrispondenza fino a raggiungere la perfezione.
Così Darwin lesse con piacere la dimostrazione di Bates che il mimetismo si verifica sempre fra farfalle più inclini a variare di altre che non svilupparono mai forme mimetiche. Questa tendenza alla variazione deve essere la condizione preliminare che stabilisce in certi casi una somiglianza iniziale fortuita. “E necessario supporre,” scrisse Darwin “che in alcuni casi gli antichi membri, appartenenti a diversi gruppi distinti, prima di divergere tra loro nel modo attuale, assomigliassero accidentalmente a un membro di un altro gruppo protetto in grado sufficiente da garantire un minimo di protezione; e questa sarà stata la base per la successiva acquisizione di una somiglianza più perfetta.” Gli imitatori ancestrali si trovarono ad avere una lieve somiglianza casuale a un modello, e così poté avere inizio il processo evolutivo. Direzioni evolutive nuove devono avere necessariamente inizi così strambi, fondati sulla presenza fortuita di strutture e possibilità evolute per altre ragioni. Dopo tutto in natura, come nell’invenzione umana, non ci si può preparare attivamente all’imprevisto. Le nuove direzioni evolutive, come sostenne Darwin nella risoluzione del problema degli stadi incipienti, devono avere inizio in conseguenza del possesso casuale dei requisiti necessari, cosa che conferisce alla storia della vita un indirizzo capriccioso e imprevedibile. Queste nuove direzioni possono implicare dapprima mutamenti minimi, poiché i requisiti fortuiti sono già presenti, anche se non utilizzati in quel modo, nei progenitori.
Ma qualche nuova direzione capricciosa può dare origine a innovazioni importanti e produrre molte forme nuove nella storia della vita. Il primo proto-anfibio che si avventurò sulla terraferma uscendo a fatica dal suo stagno è stato per molto tempo uno dei protagonisti favoriti delle vignette umoristiche sull’evoluzione. Le battute sono infinite, da “Ci vedremo più avanti, quando sarai un alligatore” a “Perché qui il tempo è più bello”. Ma la mia preferita è “Mi sa che andrà a finir male”. Non accade spesso, ma quando dal niente nasce qualcosa, il potere intrinseco dell’evoluzione, che normalmente è una forza estremamente prudente e misurata, può erompere con energia. O, come proclama Reginald Bunthorne in Patience di Gilbert e Sullivan (è la pazienza la virtù che l’evoluzione deve avere al di sopra di ogni altra):
Nature for restraint too mighty far, has burst the bonds of art— and here we are.
(La natura, troppo forte per sopportare restrizioni, ha rotto i legami dell’arte, e siamo arrivati qui.)
da Risplendi Grande Lucciola, Feltrinelli, 1994
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Nel 1863 Bates pubblicò la sua opera classica in due volumi, forse la massima opera di storia naturale e viaggi dell’Ottocento, The Naturalist on the River Amazons. Ma due anni prima Bates aveva occultato la sua scoperta più emozionante in un articolo tecnico dal titolo disarmantemente pedestre: Contribution to a insect fauna of the Amazon Valley, pubblicato nelle “Transactions of the Linnean Society”. Il recensore dell’articolo di Bates (“Natural History Reviews”, 1863, pp. 219-224) lodò la percezione di Bates ma deplorò la cattiva scelta del titolo: “A causa del titolo troppo modesto e un po’ indefinito,” scrisse, “temiamo che [l’opera di Bates] possa sfuggire all’attenzione nel flusso ininterrotto della letteratura scientifica”. Il recensore tentò perciò di salvare Bates dalla sua modestia facendo un po’ di pubblicità alla sua scoperta. Per fortuna aveva abbastanza energia da dare un buon avvio a Bates. Il recensore era Charles Darwin, che nell’ultima edizione dell’Origine delle specie aggiunse una sezione sull’intuizione di Bates.
Bates aveva scoperto e spiegato correttamente lo stile principale di mimetismo protettivo negli animali. Nel cosiddetto mimetismo batesiano (giacché il fenomeno ha assunto ora il suo nome), animali poco comuni e intrinsecamente appetibili (gli imitatori) si procurano una protezione sviluppando spiccate somiglianze con animali abbondanti e di cattivo sapore (i modelli), che i predatori imparano a evitare. La farfalla viceré (Limenitis archippus) imita perfettamente la monarca, la quale, nello stadio di bruco, estrae dai cibi vegetali di cui si nutre una quantità di sostanze velenose sufficienti a dare letteralmente il voltastomaco a qualsiasi uccello non abbastanza accorto da evitarla. (Gli uccelli che vomitano sono diventati un cliché nei documentari di storia naturale. L’esperienza insegna: chi è stato scottato una volta, non ci riprova la seconda. Questa storia è stata forse raccontata anche troppe volte, ma non tutti gli esperti si rendono conto che il nome della farfalla viceré ricorda il suo mimetismo, giacché questa farfalla è il surrogato, o viceré, del sovrano, o monarca, stesso.)
Darwin fu deliziato dalla scoperta di Bates perché considerava il mimetismo una bella dimostrazione dell’evoluzione in azione. Il creazionismo, sostenne Darwin con argomentazione stringente, non può essere confutato direttamente perché pretende di spiegare tutto. Il creazionismo non è verificabile ed è quindi inutile per la scienza. Gli evoluzionisti devono procedere mostrando che qualsiasi spiegazione creazionistica diventa una reductio ad absurdum in conseguenza delle argomentazioni illogiche e ad hoc richieste per preservare l’idea della volontà inalterabile di Dio di fronte all’evidenza del mutamento storico.
Nella recensione dell’articolo di Bates, Darwin sottolinea che i creazionisti devono spiegare la precisione della duplicazione di forme e colori che si riscontra nel mimetismo come un semplice atto di costruzione divina: “Essi furono formati così già dal momento della loro creazione”, scrive. Una tale asserzione, sostiene Darwin, non è solo sbagliata ma ostacola la scienza, non fornendo alcun test possibile per la verità o falsità: è un argomento “che ha la conseguenza di rendere impossibile ogni ulteriore ricerca”. Darwin presenta poi la sua reductio ad absurdum, mostrando che qualsiasi persona equilibrata deve considerare il mimetismo un prodotto del mutamento storico.
I creazionisti avevano introdotto una distinzione centrale fra vere specie, o entità create da Dio, e mere varietà, conseguenti a piccoli mutamenti permessi all’interno di un tipo creato (per esempio le varie razze di cani o le diverse varietà di frumento). Bates aveva però mostrato che alcuni imitatori sono vere specie, mentre altri sono solo varietà di specie che, nelle regioni non abitate dal modello, sono prive dei caratteri mimetici. Dio poteva aver creato direttamente alcuni imitatori dalla polvere della terra, consentendo invece ad altri (le varietà di specie che non presentano il mimetismo in altre regioni) di raggiungere la loro precisione per mezzo della selezione naturale limitata all’interno dei confini di un tipo creato? Non era forse più ragionevole proporre che le specie dotate di caratteri mimetici avessero avuto inizio come varietà, evolvendosi infine sino a diventare entità separate? Cosa ancora peggiore per i creazionisti: Bates aveva mostrato che alcune specie imitano modelli che sono soltanto varietà: Dio avrebbe creato dal nulla una specie dotata di forme e colori mimetici per farla assomigliare a un’altra forma che raggiunse il suo stato attuale in conseguenza di un’evoluzione strettamente limitata? Dio può operare in modi strani per compiere i suoi miracoli, ma metterebbe davvero a così dura prova la nostra fede? La spiegazione storica aveva molto più senso.
Ma se il mimetismo divenne una fonte di piacere per Darwin, presentava anche un grave problema. Noi possiamo comprendere facilmente la necessità di una spiegazione storica. Possiamo capire come funziona il sistema una volta che tutti i suoi elementi si sviluppano, ma perché prende il via all’inizio questo processo di imitazione? Che cosa lo fa cominciare, e che cosa lo mantiene poi in movimento? Perché, nelle parole di Darwin, “con grande perplessità dei naturalisti, la natura ha accondisceso a questi trucchi teatrali?” Più specificamente: ogni farfalla che ne imita un’altra, nelle ricche faune del bacino amazzonico, condivide il suo spazio con molti modelli potenziali. Perché una farfalla sceglie un particolare modello? Noi possiamo capire come la selezione naturale possa perfezionare una somiglianza già ben stabilita, mentre più difficile è comprendere che cosa dia inizio al processo lungo una di molte vie potenziali, tanto più che non riusciamo a immaginare quale vantaggio possa fornire all’imitatore un 1 o 2 per cento di somiglianza a un modello. Questo vecchio dilemma nella teoria dell’evoluzione ha addirittura ricevuto un nome nella terminologia tecnica della mia professione: è il problema degli “stadi incipienti di strutture utili”. Darwin trovò [comunque] una buona soluzione per il mimetismo [...] come soluzione generale al vecchio problema degli stadi incipienti. il mimetismo funziona splendidamente nella sua forma compiuta, ma che cosa dà inizio al processo lungo una via potenziale fra molte? Darwin sostenne che una farfalla che si mimetizza deve prendere l’avvio da una somiglianza lieve e fortuita al suo modello. In assenza di questo punto di partenza iniziale, il processo del miglioramento verso la perfezione del mimetismo non può neppure avere inizio. Ma una volta che una somiglianza iniziale accidentale abbia fornito un piccolo punto d’appoggio, la selezione naturale può migliorare gradualmente la corrispondenza fino a raggiungere la perfezione.
Così Darwin lesse con piacere la dimostrazione di Bates che il mimetismo si verifica sempre fra farfalle più inclini a variare di altre che non svilupparono mai forme mimetiche. Questa tendenza alla variazione deve essere la condizione preliminare che stabilisce in certi casi una somiglianza iniziale fortuita. “E necessario supporre,” scrisse Darwin “che in alcuni casi gli antichi membri, appartenenti a diversi gruppi distinti, prima di divergere tra loro nel modo attuale, assomigliassero accidentalmente a un membro di un altro gruppo protetto in grado sufficiente da garantire un minimo di protezione; e questa sarà stata la base per la successiva acquisizione di una somiglianza più perfetta.” Gli imitatori ancestrali si trovarono ad avere una lieve somiglianza casuale a un modello, e così poté avere inizio il processo evolutivo. Direzioni evolutive nuove devono avere necessariamente inizi così strambi, fondati sulla presenza fortuita di strutture e possibilità evolute per altre ragioni. Dopo tutto in natura, come nell’invenzione umana, non ci si può preparare attivamente all’imprevisto. Le nuove direzioni evolutive, come sostenne Darwin nella risoluzione del problema degli stadi incipienti, devono avere inizio in conseguenza del possesso casuale dei requisiti necessari, cosa che conferisce alla storia della vita un indirizzo capriccioso e imprevedibile. Queste nuove direzioni possono implicare dapprima mutamenti minimi, poiché i requisiti fortuiti sono già presenti, anche se non utilizzati in quel modo, nei progenitori.
Ma qualche nuova direzione capricciosa può dare origine a innovazioni importanti e produrre molte forme nuove nella storia della vita. Il primo proto-anfibio che si avventurò sulla terraferma uscendo a fatica dal suo stagno è stato per molto tempo uno dei protagonisti favoriti delle vignette umoristiche sull’evoluzione. Le battute sono infinite, da “Ci vedremo più avanti, quando sarai un alligatore” a “Perché qui il tempo è più bello”. Ma la mia preferita è “Mi sa che andrà a finir male”. Non accade spesso, ma quando dal niente nasce qualcosa, il potere intrinseco dell’evoluzione, che normalmente è una forza estremamente prudente e misurata, può erompere con energia. O, come proclama Reginald Bunthorne in Patience di Gilbert e Sullivan (è la pazienza la virtù che l’evoluzione deve avere al di sopra di ogni altra):
Nature for restraint too mighty far, has burst the bonds of art— and here we are.
(La natura, troppo forte per sopportare restrizioni, ha rotto i legami dell’arte, e siamo arrivati qui.)
da Risplendi Grande Lucciola, Feltrinelli, 1994
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